ASSOCIAZIONE SAN MARTINO - LUVIGLIANO |
Associazione San Martino Presidente: Dainese Andrea Sede: Parrocchia di “San Martino” Luvigliano – Via dei Vescovi Rappresentante Consulta: Barbiero Francesco L’Associazione ha lo scopo di promuovere iniziative e attività a sostegno della Comunità Parrocchiale. Programma le varie manifestazioni e feste della Parrocchia favorendo attraverso tali attività l’incontro e il dialogo tra le persone. Club Amici di Luvigliano Presidente: De Franceschi Enrico Sede: Parrocchia di Luvigliano – Via dei Vescovi Rappresentante Consulta: De Franceschi Enrico Gruppo di amici nato nel 1969 che ha come obiettivo quello di promuovere attività che vadano a beneficio del paese. Organizza principalmente la Mostra dei Vini dei Colli Euganei, che promuove il prodotto tipico e primario per il nostro territorio e cioè il vino ed altri prodotti tipici del Parco Colli Euganei quali olio, miele e aceto. |
Martino di Tours, (316 o 317 – Candes, 8 novembre 397, funerali l'11 novembre a Tours), era nativo di Sabaria, in Pannonia (l'odierna Ungheria). Suo padre, che era un importante ufficiale dell'esercito dell'Impero Romano, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Con la famiglia si spostò a Pavia, e quindicenne, in quanto figlio di un ufficiale, dovette entrare egli stesso nell'esercito. Venne mandato in Gallia; qui, ancora adolescente, si convertì al cristianesimo e divenne un monaco nella regione di Poitiers. La leggenda del mantello Quando Martino era ancora un soldato, ebbe la visione che diverrà l'episodio più narrato della sua vita. Si trovava alle porte della città di Amiens con i suoi soldati quando incontrò un mendicante seminudo. D'impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Quella notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Udì Gesù dire ai suoi angeli: "Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito." Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia, ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per "mantello corto", cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella. Conversione al cristianesimo Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che si fece battezzare il giorno seguente e divenne cristiano. Decise di lasciare l'esercito e divenne un monaco nei pressi della città di Tours, sotto la protezione del vescovo Ilario di Poitiers. Martino si adoperò per la conversione alla cristianità della popolazione gallica, facendo molti viaggi per predicare nella Francia centrale ed occidentale, soprattutto nelle aree rurali, demolendo tempietti ed altari pagani. Nel corso di questa opera divenne estremamente popolare, e nel 371 divenne vescovo di Tours. Martino si rifiutò di vivere nella città e invece fondò un monastero a poca distanza dalle mura, che divenne la sua residenza. Il monastero, noto in latino come Maius monasterium (monastero grande), divenne in seguito noto come Marmoutier. Martino lottò contro l'eresia ariana. L'opera di Martino di Tours consentì di vincere l'eresia, creando le premesse per il Concilio di Nicea. Culto popolare San Martino di Tours viene ricordato l'11 novembre, sebbene questa non sia la data della sua morte. Nei primi secoli del cristianesimo, il culto reso ai santi spesso si collegava alla data della depositio nella tomba. Questa data è diventata una festa straordinaria in tutto l'Occidente, a causa di un numero notevole di cristiani che portavano il nome di Martino. Molte chiese in Europa sono dedicate a san Martino. L'11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania e dell'Austria, partecipano a una processione di lanterne. Spesso, un uomo vestito come Martino cavalca in testa alla processione. I bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l'oca. Secondo la leggenda, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche. Il rumore fatto da queste rivelò il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando. |
La Parrocchia di Luvigliano, attraverso l'Associazione San Martino organizza 2 importanti manifestazioni: Festival dei Bigoli - Maggio - Stand gastronomico - Musica e ballo Sagra di San Martino - Novembre - Stand gastronomico - Mostra dei Vini D.O.C. Colli Euganei - Degustazioni vini e prodotti tipici locali - Pesca di beneficenza - Fuochi d'artificio |
Cenni storici Colli Euganei Nel territorio euganeo le più antiche testimonianze di presenza umana risalgono alla fase del Paleolitico medio (Musteriano). Vari oggetti di selce, di fattura molto primitiva, sono stati raccolti in diverse località della costa occidentale dei colli: Carbonara, Cortelà, Valnogaredo. Assai pochi i reperti riferibili al Paleolitico superiore, rinvenuti a Castelnuovo e Cortelà, sufficienti comunque a dimostrare una continuità di vita nell'area euganea. Più interessanti documenti si hanno per il Neolitico, quando l'arrivo della nuova cultura ed un sostanziale miglioramento climatico favorirono un notevole incremento demografico. Databile alla seconda metà del V millennio a.C. è l'insediamento di "Le Basse di Valcalaona", il cui materiale fittile è riferibile alla Cultura di Fiorano (Neolitico medio). Ben rappresentata è l'età del Bronzo che occupa all'incirca il secondo millennio a.C.. All'antica e media età del Bronzo risale il villaggio palustre del laghetto della Costa di Arquà Petrarca, riferibile per gran parte alla Cultura di Polada. Al Bronzo recente appartengono gli abitati rinvenuti presso Marendole, monte Rosso, Galzignano e Valbona. Il Bronzo finale e la primissima età del Ferro sono testimoniati dagli insediamenti sul monte Lozzo, da dove provengono anche le prime testimonianze Paleovenete. Il Museo Nazionale Atestino, che occupa un'ala del castello di Este, conserva, nella sezione preromana, un'ampia documentazione sul popolo Paleoveneto, la cui civiltà interessa l'ultimo millennio a.C., e che ebbe in Este e Padova i principali centri economico-culturali e a Montegrotto la più importante sede religiosa. Il primo intervento dell'autorità romana nel territorio euganeo risale alla seconda metà del II sec. a.C.. A causa di una disputa territoriale insorta tra Este e Padova il Senato romano inviò il proconsole L. C. Metello, il quale stabilì il limite tra l'agro atestino e quello patavino ponendo cippi confinari, ora conservati nella sezione romana del Museo di Este, a Teolo, Galzignano e sul monte Venda. I romani costruirono strade, dettero nuovo impulso all'agricoltura ed agli insediamenti; venne diffusa maggiormente la coltura della vite, dell'olivo e del castagno. Resti di acquedotti (uno dei quali ancora utilizzato), di case nobili e rustiche, di tombe e di iscrizioni, attestano che le pendici dei Colli erano popolate da piccoli centri rurali ed artigianali. Il poeta Marziale descrivendo la bellezza dei Colli li presenta come fossero dipinti, tanto era aggraziata la simmetria delle viti e dei campi. Giovenale invece lodava le greggi euganee e la bontà delle loro lane. Grande sviluppo raggiunse il centro termale di Montegrotto, divenuto uno dei luoghi di cura e svago più splendidi della nobiltà romana. In epoca augustea, attorno ai laghetti naturali, si costruirono notevoli opere tra cui un teatro con scena trasformabile in piscina per rappresentazioni sull'acqua. Boschi ricchi di cacciagione e di legname pregiato, pietre per costruire, un clima più salubre rispetto alla pianura, queste le attrattive che i Colli Euganei hanno offerto all'uomo da oltre 27 secoli. E così fu anche durante il Medioevo che vide i Colli mantenere un buon numero di insediamenti, (Boccon, Zovon, Cinto, Arquà, Torreglia, Castelnuovo, Teolo) mentre la pianura circostante, malsana ed insicura, si spopolava notevolmente. Oltre alle corti ed alle pievi il paesaggio euganeo mostrava nei luoghi più elevati numerosi castelli, rocche, monasteri ed eremi. Castelli importanti, oltre a quello di Este ed alla Rocca di Monselice, sorsero ad Arquà, a Lozzo, a Valbona, a Rovolon, a Bastia, a Torreglia, a Castelnuovo, a Calaone, a Montemerlo, a Cinto e sullo sperone roccioso di Rocca Pendice. Fra tutti questi solo il castello di Valbona ci è pervenuto intatto e visitabile. Di antichi eremi e monasteri si hanno notizie nella zona di Torreglia, sui monti Cero, Venda, Madonna, Lispida e Rua. Alcuni sono ancora attivi come la grandiosa abbazia benedettina di Praglia fondata nel 1080, il piccolo monastero sul monte Madonna, l'aereo eremo camaldolese di monte Rua, il sereno convento di S. Daniele presso Abano. Altri hanno lasciato tracce spettacolari come i resti del monastero olivetano sul monte Venda o sono stati profondamente mutati nelle forme come il monastero del monte Gemola, adattato nel settecento a villa, ora di patrimonio pubblico e sistemato a museo di storia naturale con mostre sulla flora e sulla fauna euganee. All'inizio del XV secolo Venezia impone il suo dominio sul territorio padovano, dopo aver sterminato i bellicosi principi Carraresi. Il territorio euganeo, diviso tra le podesterie di Este e Monselice e le vicarie di Teolo ed Arquà, visse un lungo periodo di pace. Mentre iniziavano opere di bonifica (Retratti) che portarono al prosciugamento di vasti tratti di territori vallivi pedecollinari a Lozzo, Galzignano, Valsanzibio, Arquà e Baone, i Colli vennero ulteriormente valorizzati con la costruzione di splendide dimore volute dalla nobiltà veneziana e padovana. Famose e incantevoli sono il principesco palazzo del Catajo a Battaglia Terme, la cinquecentesca villa dei Vescovi a Luvigliano, il giardino di villa Barbarigo a Valsanzibio, splendido esempio di giardino all'italiana, costruito nel 1660; inoltre villa Contarini a Valnogaredo e villa Papafava a Frassanelle presso Bastia. Nel 1797, con l'entrata a Venezia delle truppe napoleoniche, termina la storia della gloriosa Repubblica marinara. L'Ottocento fu un secolo di crescita demografica e di consistente sfruttamento dell'ambiente: molti boschi vennero ridotti a coltura o intensamente tagliati per la produzione di legname. Sul finire del secolo si conclusero le bonifiche dei terreni vallivi con l'impiego di macchine a vapore, alcune delle quali, molto ben conservate, sono esposte nel piccolo museo Centanin vicino al laghetto della Costa di Arquà Petrarca. Il nostro secolo vede l'espandersi incontrollato delle attività di estrazione, che tanti guasti permanenti hanno provocato al paesaggio euganeo, fino all'entrata in vigore della Legge Statale 29 novembre 1971 n. 1097 concernente "Norme per la tutela delle bellezze naturali e ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei" che ha comportato la cessazione dell'attività estrattiva nelle cave di materiale per massicciate e sottofondi stradali. A partire dagli anni cinquanta si sviluppa una viticoltura di qualità che, nel rispetto delle pratiche tradizionali, si è altamente specializzata ed i cui prodotti sono valorizzati nel Consorzio vini DOC, costituitosi nel 1972. A questa fondamentale attività economica negli ultimi anni si e affiancata la pratica dell'agriturismo che, con l'offerta di ospitalità, ristorazione e dei prodotti tipici, ha creato un interessante reddito aggiuntivo per numerose aziende agricole. Tale opportunità va ad integrare la già rinomata tradizione della ristorazione euganea che fin dagli inizi del secolo ha accolto nei suoi caratteristici locali frotte di visitatori attratti dalla buona cucina e dall'amenità dei luoghi. |
TORREGLIA Alcuni storici ritengono che il suo nome derivi da Taurilia (lotta di tori che Antenore avrebbe allestito per ringraziare gli dei del posto assegnatogli), altri da Turrilia a causa di numerosi fortilizi che erano stati eretti nel periodo medioevale. Il comune ha mantenuto sul suo stemma le due iconografie su sfondo azzurro e rosso. Torreglia è suddivisa in un centro moderno (Torreglia Nuova) sorto nel secondo dopoguerra attorno al capitello della Madonna (attribuita a un allievo del Bonazza, F. Rizzi) donato dal compaesano Jacopo Facciolati, famoso abate e letterato autore del Vocabolario latino ed uno antico (Torreglia Alta) in collina (132 m) dopo il cimitero, posto al bivio del Monte Rua, luogo celebrato da letterati, alla cui sommità si trova l'Eremo Camaldolese un'oasi di pace e tranquillità. Presso Luvigliano si può ammirare la famosa Villa dei Vescovi, opera del Falconetto (XVI secolo) su commessa del Cardinale Pisani costruì nel XVI secolo una villa bellissima "Villa dei Vescovi". Ha un ampio giardino che si estende dalla villa fino al muro di cinta con un piacevole declivio. Oltre alla villa del famoso abate Barbieri, letterato, oratore e poeta che spesso celebrò con i suoi versi questi luoghi ("Veglie Tauriliane") è da ricordare Villa Ferri, di architettura settecentesca con un tempietto neoclassico rotondo, di canoviana memoria, che conservava una trecentesca Madonna della Misericordia in pietra; Villa Cattaneo-Stevens; Villa Tolomei, con un ampio parco disegnato dall'architetto Jappelli e Villa Verson, già dimora dell'abate. Altri siti degni di menzione sono Villa Immacolata, Assunta, Isabella, Paolini e la suggestiva antica fonte Regina, situata in via Facciolati. Da ammirare l'albergo la Torre ex villa Corinaldi, recentemente ristrutturato e portato al suo antico splendore. Degna di nota, la sorgente perenne, situata lungo un suggestivo sentiero sul fianco della trattoria Ai Mulini. Riceve le acque dal rio Calcina e cade, dopo un piccolo salto in una limpida pozza alimentata anche dalla sorgente perenne che sgorga dalla fenditura della roccia. I primi segni della presenza dell'uomo sul territorio di Torreglia risalgono al periodo della dominazione Romana ( 50 - 40 a.c.) e sono testimoniati dal ritrovamento di numerosi elementi trachitici dell'acquedotto romano. Dopo la caduta di Roma si alternarono numerose invasioni tra cui quella degli Unni, seguita dai Longobardi e poi dai Franchi, rimanendo quindi sotto il "comitato" di Vicenza fino al 1050. Dopo l'invasione degli Ungari, all'inizio del 900, nella zona Euganea sorsero numerosi castelli, non più esistenti. Con il trascorrere dei secoli la zona divenne agricola grazie spinta di alcuni ordini benedettini del luogo. Si ricordano gli ordini benedettini di Praglia e San Daniele, situati nelle prossimità del comune. In questo periodo la zona ebbe un incremento demografico e nel 1200 vennero effettuati importanti lavori idraulici. Nel 1405 Padova viene sottomessa al dominio di Venezia, periodo cui vengono attribuite numerose e stupende ville. La storia coinvolge durante il periodo Napoleonico l'Eremo di Monte Rua. Nei secoli successivi Torreglia diventa un fervido centro d'arte grazie al musicista Cesare Pollini ed al pittore Roberto Ferruzzi. La cittadina, in seguito si sviluppò notevolmente grazie ai vicini centri termali e all'incremento di un fiorente artigianato locale. LUVIGLIANO Luvigliano trae molto probabilmente il nome dallo storico latino Tito Livio che qui aveva un podere. Anche Luvigliano ha voluto porre la propria candidatura, con Abano e Teolo, a luogo natale di Tito Livio. Anni addietro, la popolazione, sospinta dall'allora arciprete don Giuseppe Curto, s'era attivamente impegnata per ottenere il cambio del nome del paese da Luvigliano in Liviano (terra dei Livii), nome trovato in antiche lapidi e negli archivi parrocchiali. Nei primi anni del XX secolo, Luvigliano fu luogo di incontri, ad alto livello, di artisti e letterati, che si ritrovavano specialmente nella villa di Cesare Pollini accanto alla chiesa. Pollini (1859-1912) era pianista di grande valore: si diceva che superasse Paderewsky e Rubinstein. Fu anche insigne cultore di storia musicale. Diresse il Liceo musicale di Padova, che porta ora il suo nome, e fece di Padova un centro musicale di prim'ordine. Una lapide, nella villa ch'egli abitò, ne ricorda i soggiorni. Frequentatore assiduo di villa Pollini era anche Roberto Ferruzzi (1853-1934), pittore dalmata, autore di quella famosa “Madonnina” che, esposta alla Biennale di Venezia nel 1897 col titolo di “Maternità”, ottenne un singolare favor popolare. Pare che il quadro originale, eseguito a Luvigliano, e pure di Luvigliano era la modella, sia andato perduto nel 1914 in un naufragio, mentre stava per emigrare in America. Ma le riproduzioni dell'opera – su cartoline, tele, arazzi, smalti, ecc. – si moltiplicarono con straordinaria fortuna, come se in quella figurina il popolo senta incarnato il proprio ideale di bellezza e di grazia. Il Ferruzzi volle essere sepolto, accanto alla moglie, nel cimitero di Luvigliano. Anche sulla casa rustica, ai piedi del monte Sengiari, in cui Roberto Ferruzzi visse e lavorò, è stata posta, nel 1956, una lapide che lo ricorda. Villa dei Vescovi fu costruita nel Cinquecento, come luogo di ritiro dei vescovi di Padova, da cui il nome. Alvise Cornaro, amministratore del vescovado, sovraintese alla costruzione. La villa fu progettata dall'architetto veronese Giovanni Maria Falconetto (1468-1535) per il vescovo Francesco Pisani. La costruzione, iniziata intorno al 1524, passò una quarantina d'anni dopo, nel 1561, al padovano Andrea Dalla Valle (attivo 1543-1577). I lavori si protrassero per almeno cinquant'anni. Il corpo della villa, espressione del gusto classico romano, fu completato infine nel 1567. Fra il 1567 e il 1570, sotto un vescovo della famiglia Pisani, il cortile anteriore fu circondato da un muro di cinta merlato, mentre nel 1579 Federico Cornaro fece completare il lato occidentale della terrazza con una scalinata e un portico. |
Madonnina del Ferruzzi Il volto di una giovane donna che guarda verso l’alto, il corpo avvolto da una mantella blu con in grembo il Bambino che dorme. Una tela eseguita dal pittore dalmata Roberto Ferruzzi che la eseguì a Luvigliano, sui Colli Euganei, e grazie alla quale vinse la seconda Biennale di Venezia nel 1897; il dipinto raffigurava i lineamenti dolcissimi di un’adolescente, Angelina Cian, la quale teneva in braccio suo fratello di pochi mesi. Subito divenuto famoso, il dipinto venne venduto, sparendo misteriosamente nel corso della seconda guerra mondiale, forse andando perso o distrutto nel corso del conflitto. Roberto Ferruzzi (1853-1934) Roberto Ferruzzi nacque a Sebenico, in Dalmazia, nel 1853 da genitori italiani. Condotto a 4 anni a Venezia, allora capitale della Cultura, per intraprendervi gli studi, alla morte improvvisa del padre, un noto avvocato, ritornò di nuovo in Dalmazia. Qui visse fino all'età di 14 anni, dedicandosi agli studi classici e apprendendo i primi rudimenti della pittura (autodidatta). Destinato, secondo la tradizione di famiglia, alla professione forense, ritornò di nuovo a Venezia per completare gli studi e frequentare la Facoltà di Giurisprudenza a Padova. Nel 1879, dopo un ulteriore soggiorno in Dalmazia, maturò definitivamente la vocazione per l'arte e si stabilì a Luvigliano. La sua casa divenne meta di famosi artisti dell'epoca, come il musicista e amico Cesare Pollini. Alternando musica e pittura diede alla luce le sue opere migliori tra cui “Madonnina". Dopo la prematura scomparsa della amatissima moglie Ester Sorgato, condusse una vita piuttosto riservata. Morì il 16 febbraio 1934 ed è sepolto con la moglie e la figlia Mariska nel piccolo cimitero di Luvigliano. “Madonnina” è il dipinto di fama mondiale a cui è legato il nome di Roberto Ferruzzi. Con esso l'autore vinse nel 1897 la seconda Biennale di Venezia, alla quale aveva partecipato con l'intento di rappresentare la Maternità. Grazie alla straordinaria dolcezza espressiva, il dipinto ebbe un enorme successo popolare tanto che il nome originale di “Maternità”, viene cambiato, a furor di popolo, in “Madonnina”. Fu subito acquistato per trentamila lire, una cifra astronomica per quei tempi. Più volte rivenduto, viene acquistato dai Fratelli Alinari, proprietari della nota casa Fotografica. Prima di rivenderlo, si riservano il diritto di riproduzione di ogni tipo. La fama dell'opera supera quella dell'autore. L'immagine della giovinetta undicenne col fratellino diventa il volto della Madonna con Bambino, riprodotta e diffusa in tutto il mondo, sotto diversi nomi: “Madonnina”, Madonna del Riposo, delle Vie, della Tenerezza, Madonnella, Zingarella. Dell'originale si perdono le tracce: quasi un giallo la sua fine. Acquistato da una americano, sembra sia perito con l'affondamento della nave che lo trasportava in America. Alcuni sostengono a causa di una tempesta, altri per siluramento dei tedeschi. Modella ispiratrice del quadro di Madonnina fu una giovinetta di Luvigliano, Angelina Cian, seconda di 15 figli, che teneva in braccio il fratellino Giovanni, di pochi mesi. Ferruzzi, colpito da tanta tenera visione, immortalò su tela la bellezza di tale immagine, con l'intento di rappresentare la Maternità. All'epoca del ritratto Angelina Cian aveva solo 11 anni e, come era costume di allora, nelle famiglie numerose, le bambine più grandicelle dovevano trasformarsi in mamme a tempo pieno ed occuparsi dei fratellini più piccoli. Un bambino tra le braccia di una bambina: forse fu proprio questo aspetto che ispirò il Ferruzzi, il quale attraverso la sua arte cercò di sublimare la fatica quotidiana di questa giovane ragazza. Ma il destino riservava alla protagonista ben altre sorprese. Angelina Cian e Antonio Bovo Angelina Cian, trasferitasi in seguito da Luvigliano a Venezia, sposò un certo Antonio Bovo e seguì il marito in America intorno al 1906, stabilendosi ad Oakland in California. La coppia ebbe 10 figli, ma nel 1929 la famiglia fu colpita da un grave lutto, la scomparsa prematura di Antonio Bovo, che allora aveva solo 42 anni. Furono tempi angoscianti per la povera vedova che non riuscì ad affrontare le grosse difficoltà e cedette alla disperazione tanto che fu internata in un manicomio nel quale rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1972. Angelina moriva senza che nessuno sapesse mai della sua storia. Lei non aveva mai rivelato a nessuno di essere stata la modella ispiratrice del quadro più conosciuto del mondo. Quel segreto della sua vita viene scoperto solo nel 1984 da sua figlia Mary, divenuta suora col nome di Suor Angela Maria Bovo. Suor Angela Maria Bovo La piccola Mary, divenuta in seguito Suor Angela Maria Bovo, era la settima dei 10 figli di Angelina Cian e Antonio Bovo. In seguito alla morte del padre e al crollo psichico della madre, con altri fratelli andò a finire in un Istituto per orfani. Allora aveva appena 8 anni e non fu in grado di mantenere rapporti con i parenti lontani in Italia, così, a poco a poco, non ebbe più notizie degli zii veneziani. Sentì pian piano la vocazione religiosa, e divenne suora con il nome di Suor Angela Maria, in omaggio a sua madre e a suor Angela, sua guida spirituale. Fu proprio Suor Angela che la invogliò a recarsi in Italia alla ricerca dei suoi lontani parenti. A Venezia ritrovò due vecchie zie ottantenni, sorelle di Angelina Cian, sua madre. Fu una delle zie, che volle mostrarle il ritratto di sua madre da giovane. Era l'immagine della Madonnina di Ferruzzi. La zia le spiegò che il volto della Madonna più conosciuta in tutto il mondo, altro non era che il volto della sua vera mamma. |
Seconda Guerra Mondiale Sul finire dell'ultima guerra, tra l'autunno del 1944 e la primavera del 1945, le ville di Luvigliano e di Torreglia furono sede del Comando della X Armata della Wehrmacht. Il generale comandante risiedeva a Luvigliano, in villa Megardi. Pochi giorni prima del termine del conflitto, nella mattina di venerdì 20 aprile 1945, Luvigliano fu obiettivo di un violento attacco aereo da parte dei caccia-bombardieri inglesi: furono colpite villa Megardi e le vecchie scuole vicine, ora sede dei Carabinieri cinofili, dove rimasero uccisi sei soldati tedeschi. Successive ondate della stessa azione di bombardamento si sono estese a Montemerlo, dove era la centrale telefonica operativa per l’alta Italia, e a Villa di Teolo, dove, in una villa sotto monte Vignola, aveva sede lo Stato maggiore dell'Armata. In Vallarega, il 16 novembre 1944, per rappresaglia contro l'uccisione di un soldato del Comando della X Armata dell'esercito tedesco, vennero fucilati sul posto sette ostaggi civili: cinque di questi, appartenenti alle formazioni partigiane, erano stati prelevati, alcuni giorni prima, in un'azione di rastrellamento, a Galzignano. L'ordine fu dato dal comandante tedesco, capitano Lembke delle SS, che stava ad Este. I cadaveri vennero appesi per due giorni ai grandi platani del viale sotto il Palazzo dei Vescovi. |
Colli Euganei Fior d’arancio DOCG Fior d’arancio, esplosione di essenze mediterranee Il disciplinare di produzione recita all’articolo 2: “Il vino a denominazione di origine controllata e garantita “Colli Euganei Fior d’Arancio” o “Fior d’Arancio Colli Euganei” deve essere ottenuto dalle uve della varietà Moscato giallo per almeno il 95%; possono concorrere, fino a un massimo del 5%, le uve di altri vitigni di varietà aromatiche, di colore analogo, presenti nei vigneti in ambito aziendale, idonei alla coltivazione nella provincia di Padova”. Il moscato giallo presente nei Colli Euganei, è una particolare varietà, denominata Fior d’Arancio proprio per i nettissimi sentori che rimandano al profumo della zagara, il bianco fiore degli agrumi. Colli Euganei Rosso Raccontare questo vino è raccontare una storia Quella di una nobile e ardimentosa famiglia, i Conti Corinaldi, che per primi in Italia nei propri possedimenti di Lispida, piantano vitigni bordolesi destinati alla produzione di vino. Ed ecco che si scopre che Merlot e Cabernet non arrivano nei Colli Euganei portati dalle mode, ma sono parte dell’orgogliosa storia di questi “Monti”. Gli aggettivi “autoctono” e “internazionale” si confondono quando si parla di Colli Euganei, i confini sono labili. All’assaggio ogni dubbio viene fugato, non c’è nulla di internazionale nel Colli Euganei Rosso, l’uvaggio di Merlot, Cabernet sauvignon, e Carmenere, (a volte con piccole aggiunte di Raboso), è inequivocabilmente figlio di queste colline. Ha note uniche che trovano la propria ragion d’essere nella vocazione della terra, il terroir, il clima, l’esposizione, imprimono nel vino un marchio indelebile, con struttura possente, spesse volte indomabile. Descrivere il Colli Euganei Rosso sarebbe come tentare di descrivere il carattere di ogni singolo vignaiolo. Ogni produttore racconta con questo vino la sua storia, e quella della sua famiglia, le sue aspirazioni e il suo passato. Ci sono storie che sanno di gioventù e di leggerezza, altre di possenza, altre di ricerca ed eleganza, altre sono ancora da raccontare. Colli Euganei Serprino Un ultimo vino completa nella carta d’identità dei Colli Euganei. La parte dedicata ai connotati essenziali, ai tratti distintivi. L’uva è l’omonima “Serprina”, riconducibile come biotipo alla Glera, ma non vuole essere chiamata prosecco sui Colli Euganei, anche perché col Prosecco manifesta soltanto una lontana parentela. Anche qui il territorio ha fatto la differenza. Identifica un vino bianco leggero e frizzante con chiari sentori di piccoli fiori bianchi, che racchiude il brio della primavera. Colli Euganei Moscato Profumato ed elegante, nasce sulle pendici più fresche dei Colli Euganei. L’olfatto è sinuoso, finemente floreale, con spiccati sentori di acacia e di salvia. Il gusto è fresco, leggermente aromatico. Accompagna il pasto di chi ha voglia di sperimentare e si cimenta con successo dove altri falliscono, magari con asparagi e baccalà. Non disdegna pesci o conchiglie dell’alto adriatico. Colli Euganei Bianco Racchiude le Uve prodotte dai molti vitigni indigeni dei Colli Euganei. Tra queste, su tutte, la Garganega che caratterizza da sempre i vini bianchi del territorio. Profumo composito, ricco di note floreali e fruttate, fresche e aromatiche. Esalta il gusto con pesci e carni bianche, risotti con erbette e bruscandoli o risi e bisi. Colli Euganei Pinot bianco Floreale o fruttato secondo l’età, ha un buon equilibrio tra corpo e profumo. Ha colore paglierino con riflessi verdognoli, profumi delicatissimi e fragranza di crosta di pane. Accompagna piacevolmente risotti primaverili ai carletti o alle ortiche, ai bruscandoli o agli asparagi. Incontra volentieri pesci della nostra laguna. Da provare giovanissimo con una minestra maritata. Colli Euganei Chardonnay Dal profumo raffinato, mantiene note floreali e di frutta esotica se affinato in acciaio. Diventa più intrigante, burroso e morbido se trascorre qualche tempo in barrique. Incontra con piacere pollame e formaggi. Da provare con una zuppa, magari di trippe, spolverata di ottimo Grana Padano dell’Alta Padovana. Colli Euganei Merlot Nasce dall’Uva più amata e diffusa sui Colli Euganei. Di piacevole beva in gioventù, con le sue note di marasca e sambuco. Se affinato esprime invece sentori di ciliegia, mora e note tostate. Classico Vino, da tutto pasto, è da provare con un risotto ricco alla padovana o con il pollo alla griglia. Ottimo con l’Asiago d’allevo. Colli Euganei Cabernet Di casa sui Colli Euganei dalla metà dell’Ottocento Piacevole da Giovane, profuma di frutta rossa ben amalgamato ad un corpo di buona struttura. Se affinato è Austero ed elegante e sprigiona sentori di tabacco e calde note tostate. Vino di lunga vita, è ideale con arrosti e spiedi, con Asiago d’allevo stagionato e polenta abbrustolita o con costolette d’agnello alla brace. Colli Euganei Pinello Vitigno autoctono sopravvissuto grazie alla passione di pochi vignaioli euganei. Vinificato con attenzione da un vino giovane, leggero, simpatico, ricco di profumi di frutta bianca freschissima. Vivace e semplice, mai banale, da provare con antipasti leggeri o con la pizza. Colli Euganei Manzoni Bianco Estroso cimento di pochi vignaioli euganei, in terroir adatti, regala prodotti fini e particolari. Il colore è di un giallo paglierino con luminosi riflessi verdognoli. All’olfatto colpisce complessità e ricchezza di essenze, spiccano sentori di peperone, di salvia e di ortica, arrotondati da sussurri di frutta esotica. Al palato sfoggia una notevole struttura e accompagna orgoglioso, saporiti branzini al forno con le verdure. Colli Euganei Garganega Una delle uve più diffuse del Veneto, non possiede di suo un carattere spiccato, ma si adatta con versatilità ai terroir che la ospitano. Nei Colli Euganei si esprime con delicati sentori di fiori bianchi e di mandorla. In bocca non nasconde le influenze vulcaniche, che le conferiscono un’intrigante sapidità. Colli Euganei Carmenere Presente sui Colli Euganei dalla metà dell’800, sotto le mentite spoglie del Cabernet Franc, esce finalmente allo scoperto, nell’età moderna. Prende coraggio e ci parla della sua rara diffusione, tra Cile, Perù e nord est dell’Italia. I suoli euganei lo accolgono, e i particolari microclimi dei vulcani ne influenzano il carattere. La struttura è sempre possente e le essenze sono decise e intense, spicca il peperone verde e l’erba appena tagliata. Fonte: Consorzio Vini Colli Euganei |